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Lo strano caso
della sopraelevata e del quartiere di San Lorenzo a Roma
Tra case e strade
Tra i diversi appuntamenti mancati tra Roma moderna e la sua modernità,
uno di questi riguarda certamente i rapporti tra spazi residenziali
e spazi della viabilità.
Nell’immaginario collettivo Roma è una città
di case: quartieri, intensivi, caseggiati e borgate. Questa città
di case costituisce quella periferia descritta e interpretata da
Pasolini, di cui si celebrano i 30 anni dalla sua scomparsa, come
metafora di una più generalizzabile idea di sviluppo cui
non si accompagna l’effettivo raggiungimento di un progresso.
Pasolini è l’interprete di quei terrain vagues che
non sono più campagna e non ancora città.
Roma però è anche una città di strade, consolari,
tangenziali, viadotti e raccordi anulari, che nel loro insieme,
viste ipoteticamente dall’alto, nell’intreccio geometrico
di radiali e controradiali, seguono un disegno forse più
chiaro e descrivibile che altrove.
Questa città di strade s’incrementa particolarmente
durante il boom economico, tra gli anni ’60 e ’70, e
trova diverse interpretazioni nella produzione cinematografica di
quel periodo, dove però la strada è comunemente vista
come sintomo più di un malessere che di una virtù;
di un disagio, in altri termini, da pagare all’affluente società
dei consumi.
L’ingorgo di Comencini guarda al traffico come intasamento,
come paralisi, come irrisolto dissidio tra le forme della Roma storica
e le forme della modernità. Roma dunque “alma garage”
per usare le parole di Edoardo Sanguineti.
Roma di Fellini crea una dissolvenza incrociata tra le forme storico-monumentali
della città millenaria e l’immagine di quotidiana follia
di un traffico caotico, accolto dal proverbiale cinismo dei romani
come evento ineluttabile attraverso il filtro di quella bonaria
saggezza, prossima all’indifferenza, di chi tutto ha visto
e tutto ha subito.
Uccellacci ed uccellini, film surrealista di Pasolini, mostra invece
le figure di Totò e di Ninetto Davoli che si aggirano spaesate
nel viadotto in costruzione della Magliana.
Queste due realtà, la Roma delle case e la Roma delle strade,
convivono una accanto all’altra senza sommarsi e mostrandosi,
piuttosto, come corpi separati della città e del suo sviluppo
urbano, che nessuna progettualità è riuscita a tenere
insieme più di tanto, salvo le dovute eccezioni. Citerei,
tra queste, il quartiere Olimpico e il viadotto di Nervi; l’acceso
a Roma nord nel rapporto ben riuscito tra la Salaria e l’insediamento
acropolico di Val Melaina; le due spine di Ballio Morpugo sulla
Cristoforo Colombo. Tra i progetti le sperimentazioni di town design
per l’Asse attrezzato romano da parte di Quaroni, Zevi, Fiorentino
e Passarelli.
Questo mancato rapporto tra case e strade è l’indizio
di una mancanza di modernità che deriva, principalmente,
da due cause principali.
La prima, scontando alcuni retaggi dell’urbanistica funzionalista,
tende a separare il progetto di case da quello delle strade attraverso
una progettazione differita: prima le infrastrutture primarie e
poi separatamente tutto il resto come momenti autonomi della crescita
urbana. Inoltre strade, slarghi, parcheggi, dossi e scarpate rispondono,
ieri come oggi, a mere esigenze funzionali, prive di qualsiasi disegno
o intenzionalità urbana. In molti quartieri, di iniziativa
sia pubblica che privata, le strade si rinchiudono in sé
stesse, con incredibili cul de sac.
L’altro elemento, più determinante, è di natura
culturale e si manifesta nella non-volontà di rivolgersi
al traffico, agli accessi, alle infrastrutture come paesaggi della
modernità, esaltati, invece, dall’estetica futurista.
Anche Corso Francia, strada adeguatamente moderna con il viadotto
di Nervi, il cavalcavia di Morandi, le insegne pubblicitarie ed
il suo riconoscibile ruolo di accesso al settore nord-est della
città, è stato oggetto di dubbie rivisitazioni, sostituendo
recentemente gli esili e funzionali lampioni stradali, tipici degli
anni ’60, con quelli più incongrui, in ghisa, della
premiata ditta Bastianelli, in vero stile falsoantico.
La rappresentazione della modernità com’è noto
si fonda, invece, su quella raffigurazione dei paesaggi infrastrutturali
che trova un significativo e ricorrente riscontro nel linguaggio
cinematografico: dalla modernità eroica di Metropolis di
Fritz Lang, con le sue strade e passaggi pensili, fino ai più
omologanti paesaggi della contemporaneità che nelle sequenze
di Crash di Cronenberg/Ballard e in quelle iniziali di Lisbon Story
di Wim Wenders riconducono i temi della modernità a quelli
più attuali del presente disincanto metropolitano.
La sopraelevata di San Lorenzo a Roma
Il recente dibattito sulla sopraelevata di San Lorenzo a Roma e
l’accesa (e molto italica) contrapposizione tra il partito
dei demolitori (in maggioranza) e quello dei conservatori (in netta
minoranza) nell’apparente marginalità del tema nasconde
una più generale difficoltà di guardare a Roma come
insieme stratificato di diverse città: quella storica, quella
moderna e quella contemporanea.
In altri termini lo strano caso della sopraelevata di San Lorenzo,
con l’auspicio fatto proprio dal Comune di Roma ed assecondato
da diverse istituzioni di un suo abbattimento esemplare (senza se
e senza ma), mostra i nervi scoperti di un atteggiamento sostanzialmente
antimoderno e fortemente ideologico che guarda alla tangenziale
come mostro (o ecomostro per usare un termine in voga) le cui presunte
colpe sono da rimuovere attraverso il lavacro salvifico della demolizione.
Atteggiamento questo che merita una valutazione nel metodo e nel
merito, favorendo un confronto che deve essere il più ampio
ed aperto possibile.
Come è noto la soprelevata vede la luce negli anni ’70,
tra San Giovanni e il Verano, ad opera della Finmeccanica, su progetto
dell’ingegnere Fabrizio De Miranda. Opera di sicuro interesse
sul piano realizzativo e tecnologico, la cui qualità si palesa,
più che sul piano strettamente architettonico, nella sua
scultorea plasticità di guadagnare più livelli; garantendo
prospettive inedite dell’esistente attraverso una veduta zenitale
e dinamica.
Questa, almeno, è la percezione di chi sta nel privilegio
della propria auto e guarda dall’alto gli edifici e la vita
del quartiere. Diversa, ovviamente, la prospettiva di chi abita
all’ombra del viadotto, in prossimità di rumori, inquinamenti
e vibrazioni e di quanti pagano alle esigenze della collettività,
in termini di mobilità ma anche come appagante affaccio sulla
città che diviene metropoli anche grazie alla sopraelevata,
un prezzo sicuramente troppo elevato.
Se di colpe della tangenziale si può parlare, una di questa
è certamente legata alla sua immissione dura che, anche se
declina un indubbio fascino urbano attraverso la sua alterità
ferrosa, avrebbe dovuto comportare un dovuto risarcimento nei confronti
degli abitanti e più adeguate misure di salvaguardia. Tra
queste la possibile trasformazione terziaria delle abitazioni più
tangenti e la loro relativa ricollocazione in contesti più
idonei alla funzione residenziale. L’assenza di queste dovute
misure ha generato, come eraprevedibile, un lungo contenzioso tra
pubblico e privato.
Da qui, negli anni successivi, un’opposizione montante nei
riguardi del mostro della sopraelevata e l’imposizione di
blandi rimedi da parte dell’Amministrazione, come la chiusura
della tangenziale nelle ore notturne. Rimedi che certo non hanno
placato abitanti, associazioni e comitati.
Da qui il successivo impegno da parte del Comune di abbattere il
mostro, senza tuttavia valutare costi e relativi ricavi in maniera
più approfondita. Non è stato infatti calcolato il
costo dell’abbattimento della sopraelevata rispetto, per esempio,
l’ipotesi alternativa della demolizione e della relativa ricostruzione
altrove degli edifici più prossimi, che peraltro non sono
molto numerosi. Oppure la modificazione degli edifici di maggiore
sofferenza per attività terziarie. Salvaguardando il carattere
pubblico della soprelevata, ma non a detrimento del privato dei
suoi abitanti.
L’attuale contrapposizione tra il partito dei demolitori e
quello dei conservatori registra un curioso paradosso: in questo
caso i demolitori non agiscono in nome e per conto di un atto di
rinnovamento futurista (della serie “demolire Venezia e il
chiaro di luna”) ma, all’opposto, di un ripristino,
di una nostalgia per una condizione urbana pregressa che s’intende
restaurare. Mentre i conservatori sono quelli che, in maniera più
progressiva, vedono nei processi urbani di stratificazione e di
discontinuità valori e non disvalori.
Più operativamente, in occasione della riprogettazione della
stazione Tiburtina e della sua area di influenza, il Comune ha elaborato
un complesso progetto infrastrutturale alternativo alla tangenziale
(progetto Sta/Fioravanti) all’interno del progetto complessivo
della mobilità di Roma (progetto Proimo). Il progetto della
Sta come infrastruttura alternativa alla tangenziale costituisce
la premessa per consentire l’abbattimento del mostro e il
declassamento della circonvallazione Nomentana a strada di quartiere.
Questa strada intrapresa dal Comune non trova tuttavia una generalità
di consensi. Il bando di concorso espletato sul quartiere di San
Lorenzo non ne prescrive l’abbattimento, lasciando aperta
la questione e delegando all’iniziativa dei singoli partecipanti
la formulazione di diverse ipotesi circa il destino della sopraelevata.
Nel frattempo il dibattito sulla tangenziale trova una maggiore
articolazione con la creazione del sito Gli amici del mostro che
si fa interprete di un diverso punto di vista, antagonista rispetto
la sua demolizione.
In questo quadro s’inserisce l’importante iniziativa,
promossa dalla prestigiosa Accademia Nazionale di San Luca, che
nel febbraio del 2004 promuove un dibattito aperto sul destino della
sopraelevata, attraverso singoli interventi (progettisti, artisti
scrittori, giornalisti e amministratori) e attraverso un workshop
di progettazione. Il merito maggiore di questo convegno, promosso
da Passarelli e da D’Onofrio, consiste nel rilanciare una
mediazione alta dei conflitti urbani inserendo le rivendicazioni
(giuste e legittime) degli abitanti del quartiere in un quadro di
problematicità, esente però da facili scorciatoie
culturali e da atteggiamenti di pura demagogia.
Operano inoltre a favore del mantenimento della tangenziale alcune
singole opere letterarie e recenti raccolte di racconti urbani,
tra queste La città fuori le mura (La Repubblica) e La qualità
dell’aria (Minimum fax) che mostrano, nelle rispettive copertine,
la tangenziale che si stratifica su San Lorenzo, individuando in
questa sovrimpressione un elemento di forte caratterizzazione del
quartiere.
Un’ipotesi di intervento
Le ipotesi di modificazione della sopraelevata, elaborate nel laboratorio
di tesi di laurea in Composizione architettonica da me diretto e
qui illustrate attraverso i lavori di Reana Angela Reale, Chantal
Martinelli e Alessio Zanzarella, partono da alcune comuni premesse,
caratterizzate dalle seguenti scelte.
– Mantenimento della sopraelevata la cui presenza fisica
immette nel paesaggio molto sironano di San Lorenzo e nel color
ocra dei suoi metafisici edifici un ritmo più jazzato e metropolitano;
– Trasformazione, attraverso lo strumento del project financing,
della tangenziale da strada veicolare a strada pedonale, dotandola
di nuovi servizi ed attrezzature come è avvenuto a Parigi
per la Promenade Planté e a New York con il recente concorso
internazionale per la High Line;
– Concentrazione di nuovi servizi in tre nodi urbani, coinvolgendo
anche l’intorno (trasformazione dell’edilizia esistente,
dei vuoti limitrofi e delle aree di sedime ferroviario). È
stato previsto un centro multimediale (Reana Angela Reale), laboratori
artigianali e spazi espositivi (Chantal Martinelli) e la sede della
circoscrizione, proponendo un cambio di destinazione degli edifici
più vicini e ottemperando ad una giusta integrazione tra
le attese degli abitanti e il carattere pubblico della sopraelevata;
– Configurazione del nuovo intervento come terzo atto che
si inserisce su San Lorenzo immettendo nel suo paesaggio ulteriori
forme e figure della stratificazione. Ponendo inoltre attenzione
agli spazi di compressione tra nuovo ed esistente, all’idea
di paesaggio come spazio permeabile e alle relazioni prospettiche
introdotte dalle nuove ipotesi di intervento, i progetti presentati
sottolineano, nel loro insieme, l’urgenza di passare da una
urbanistica del pieno ad una urbanistica del vuoto.
Lucio Altarelli
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PresS/Tletter
n.6 – feb.2004 dal sito http://www.prestinenza.it/
Allegato n.2: Terranova sulla Sopraelevata
Mostri, Ecomostri e Mancanza di
Mostri. La Sopraelevata all’accademia di San Luca.
Sono qui, credo, in quanto amico del mostro. Sono tra gli amici
del mostro, credo, in quanto autore per qualcuno bislacco dei
Mostri Metropolitani.
Sono anche, paradossalmente rispetto all’altro mio famigerato
titolo Il progetto di sottrazione, che parlava ambiguamente anche
della esigenza di distruzione in città, alla fin fine un
conservatore. Mi trovai a suo tempo tra i difensori del Palazzo
di Giustizia di Calderini, il cosiddetto palazzaccio, rimasi male
quando abbatterono le guglie sull’attico del Buon Pastore
di Brasini, fui tra gli oppositori della proposta di demolizione
di via dei Fori imperiali, ammettevo soltanto per stima dell’ironia
di Pratesi, Quaroni e Zevi le loro successive proposte di decostruzione
anarchitettoniche del Monumento al Milite Ignoto, sono scandalizzato
dall’idea che si possa voler distruggere Corviale.
Scandalosamente, non sono ferito dalla demolizione dell’ala
Cosenza della GNAM, ed invece mi chiedo perché si debba
demolire la Sopraelevata prima di tentare una sua rifunzionalizzazione
urbana.
Riflettendoci, alla fin fine quegli edifici che difendevo erano
Mostri Monumentali, cioè enfatiche rappresentazioni intenzionali
dello spropositato in città, che ficcano nella normalità
urbana violenze di diversità, di fantastico forse, simbolicità
più o meno credibili e condivisibili ma comunque stimabili
nella loro coerenza morfologica meritevole di una corretta storicizzazione.
Alcune di quelle opere, per di più, costituiscono delle
peculiarità del carattere o dell’immagine di Roma,
comunque le si voglia giudicare difficilmente sostituibili.
Se guardi un breviario di storia dell’architettura universale
(Architecture. From Art Nouveau to Deconstructivism, di Klaus
Richter, Prestel Sightlines, senza data visibile, ad esempio),
non trovi nessun grande edificio littorio romano –spesso,
trovi soltanto la Casa del Fascio di Como di Terragni, razionalismo
italiano- eppure l’Immagine di Roma oggi, che ovviamente
Ludovico Quaroni avrebbe voluto chiudere prima dell’irreggimentazione
piemontese piccolo borghese e di quella ieratica gerarchico-fascista,
non sarebbe tale senza l’E 42, il recinto dellla Città
Universitaria, il Foro Italico e il Ministero degli esteri alla
Farnesina, ma anche senza alcune infrastrutture della seconda
modernizzazione, dall’hotel Cavalieri Hilton al Corso Francia
con gli impianti sportivi e il Villaggio olimpico, il Grande Raccordo
Anulare che allo svincolo della via Appia è ornato da un
bizzarro monumento dello svincolo, i “mostruosi” quartieri
di residenza economica e popolare (Corviale è solo l’apice
di una fenomenologia imbizzarrita), la nostra Sopraelevata ma
anche la via del Muro Torto che rasentando le Mura Aureliane da
piazza del Popolo fino al Castro Pretorio oggi sembrerebbe irrealizzabile.
Insomma nella architettura romana contano cose che non conterebbero
in una storia-geografia planetaria, e in particolare Roma non
sarebbe Roma senza alcuni suoi Mostri –momenti di incommensurabilità
e di sublime magari brutto- che del resto stanno nella sua pancia
fine dal Colosseo.
Infine, sono opere che fanno parte delle mirabilia popolari e
turistiche romane prima che della cosciente critica storica degli
architetti, e questo mi interessa, e mi sembra dovrebbe essere
preso come un monito per noi troppo disciplinari (maledetti architetti,
e…marxisti rococò secondo Tom Wolfe).
Le opere vivono anche di quello e per quello, pensate alla filmografia
o alla novellistica di ambiente romano.
Per coerenza, una premessa: i nostri discorsi sono tutti ipotetici,
poiché la prima domanda alla quale io non saprei rispondere
riguarda il regime di convenienze che sottende l’idea di
demolire la Sopraelevata per ricostruire non so del tutto che
cosa e come.
La città non la fanno gli architetti ed è bene che
sia così, anche e proprio perché così può
formarsi quello che agli architetti appare brutto, amorfo o informe,
volgare, non-artistico insomma.
Del resto la Sopraelevata non può considerarsi un manufatto
a forte ed intenzionale tasso di artisticità. Perché
mi interessa dunque, ed in che direzione?
Una prima ragione di principio. La città post-moderna
deve rovesciare come un guanto la città moderna nei luoghi
della sua disfunzione ed obsolescenza, anzi trovo che in alcuni
luoghi potrebbe farlo più coraggiosamente. Tuttavia non
credo in una città post-moderna che cancelli tutte le fasi
della sua modernità mediante ripristini di tipologie pre-moderne
o proto-moderne, escludendo di comprendere pezzi moderni nel gioco
di cancellazione-riscrittura del palinsesto urbano. Con l’obbiettivo
spesso di restituire una pseudo-storicità posticcia, una
piacevolezza stereotipa di viali e controviali alberati e di piazze
italiane non metafisicamente fuori dal tempo ma pateticamente
fuori tempo massimo.
Non credo sia una buona soluzione per nessuno concentrare carinerie
alla melassa (ma in gabbia) nel centro storico esteso fino alla
città storica, esportando o espellendo nel periurbano le
tossine della velocità, delle infrastrutture, del quantitativo
generico, sporco, acido.
Penso la città contemporanea come una città a bolle
e crepe, una città-layer con Peter Cook ed una collage-city
con Colin Rowe, dove siano presenti in più luoghi, anche
centrali o semi-centrali, nodalità capaci di connettere
i vari strati e le varie velocità in luoghi di scambio
che a volte possano essere anche luoghi di incentivazione della
bigness, dell’eterogeneità e della sproporzione,
della innovazione. Ludovico Quaroni descrive le possibilità
di tali abissali buchi neri in La torre di Babele.
Non credo di sostenere ipotesi originali né bizzarre, poiché
ho visto regolarmente cose di tal genere non a Tokyo ed Hong Kong
ma a Vienna e Parigi, a Londra e Rotterdam e Berlino, insomma
nel pieno della mitica “città europea”. Quando
però abbia dovuto-voluto-saputo affrontare la modernità
contemporanea.
Sono stato sulla Sopraelevata l’anno scorso ed ho vissuto
il paradosso: una dimostrazione molto di sinistra alternativa
per la demolizione del mostro si svolgeva fantasticamente proprio
sul nastro d’asfalto e ferro e reticolati e guard-rail,
dove grazie al commercio equo-solidale potevi comprare miele boliviano
di altromercato mentre giocolieri giocolieravano e garrivano stendardi
e manifesti d’ogni colore e fotografie del contesto –in
un manifesto di quartiere il Mostro era l’edificio di Psicologia
del gruppo Metamorph, lo dico perché l’attribuzione
di mostruosità e in specie di eco-mostruosità da
parte degli Sgarbi e dell’Opinione Pubblica è senza
tetto né legge, in un altro ti spiegavano le prospettive
del nuovo prossimo Piano regolatore generale…- e dunque
si dimostrava come senza volerlo come la Sopraelevata si potesse
abitare anche in altro modo… io non simpatizzo fino in fondo
con il vivere nelle macerie dell’archeologia totalizzante,
prima classica poi medievale poi industriale, che certo caratterizza
Roma…eppure quella fu una esperienza di eccitante suggestione,
e di apertura.
Con poche rampe di scale ci potevi salire, sulla Sopraelevata,
dopo averla avvicinata e magari esserci passato sotto, in quegli
spazi di polvere e fango abitati da parcheggi e dropout. Potevi
toccarla, percorrerla, attraversarla in più punti. Gruppi
arrivavano in bicicletta ma potevano essere accompagnati in macchina,
c’erano sempre un po’ patetici i bus-navetta.
Non è detto dunque che una struttura infrastrutturale debba
essere usata sempre identicamente, in ogni punto, in ogni ora,
in ogni stagione dell’anno.
Del resto, davvero non è pensabile per una infrastruttura
del genere su quella direttrice tangenziale semicentrale una qualche
modalità d’uso appropriata che non riguardi le carrozze,
che so, soltanto autobus e taxi, che so, la domenica pedonale,
che so, ma che devo sapere se non ho potuto studiare, pensare,
progettare?
So bene che è bello che esistano e crescano, a Parigi sembrerebbe
come a Roma, movimenti di rivendicazione di peculiari abitabilità
di quartiere, voglia di riconoscimento e radicamento che del resto
lo stesso Piano regolatore ha curato in termini di carta delle
qualità e di vecchie e nuove centralità.
Però est modus in rebus, e forse Roma, accampamento mediorientale
sempre in precario attendendo sistemazioni che non vengono mai,
ha visto negli ultimi decenni un eccesso di localismo e campanilismo
e conservazionismo piuttosto che un eccesso di innovazione, trasformazione,
sradicamento…va bene le tracce, ma tutte quelle del pre-moderno,
e davvero proprio nessuna del moderno?
Siamo sicuri che gli abitanti ancora attualmente radicati non
possano trovare alternative positive? Nuovi tipi edilizi nello
stesso luogo, oppure in altri centri? E perfino, a voler essere
maliziosi, che non esistano soluzioni rivitalizzanti capaci di
coniugare –coniugare diverse opzioni è un compito
peculiare del progetto, del progetto in specie architettonico,
spaziale e tridimensionale- convenienze e interessi?
Ma allora si potrebbe azzardare anche qualche impopolare soluzione
di maggiore congestione ed impatto?
Partecipando al Concorso per San Lorenzo in un gruppetto numeroso,
con Paolo Desideri, forse non a caso ci vennero suggestioni maggiormente
tecnologiche, di sviluppo, sulla soglia dell’utopia. La
Sopraelevata, magari non più segmento dell’intera
tangenziale interna, come ragno infrastrutturale che sostenga
nuovi grappoli plurifunzionali?
Allora, poiché non mi sembra dubbio, né davvero
resistibile, il fenomeno secondo cui una nuova morfologia metropolitana
si sta formando per aggregazione di nuovi edifici intorno ad incroci
e snodi e raccordi, non si potrebbe pensare di coniugare quel
ragno, che potrebbe afferrare Stazione Termini declassata e magari
il Parco lineare delle Mura, collegato a quei nuovi fenomeni che
Jencks denominava Skycity? E quella brutta fila di torri, mi sembra
cilindriche, che Renzo Piano il costruttore poggiava in bordo
del vallo ferroviario? E quelle cabine mostruose che Herzog &
de Meuron piazzavano tra i binari a Basilea?
Insomma non si potrebbe usare il segmento di San Lorenzo della
Sopraelevata per un mix da studiare di tali attività o
funzioni?
Sembra strano che una riqualificazione con demolizione di una
infrastruttura moderna sia pensata nell’ottica del ripristino
di una qualità urbana premoderna piuttosto che nell’ottica
di un più alto tasso di modernità.
Non è una costante di Roma Moderna –tra le altre-
il deficit di infrastrutturazione di trasporti e comunicazioni?
Senza voler riaprire opzioni utopistiche, non è stato un
peccato che politiche ridistributive ed equilibratrici abbiano
abbandonato l’idea forte dell’Asse Attrezzato, poi
SDO, poi ora…quasi niente? Per funzionare come una Città
Metropolitana di tre milioni di abitanti (e moltissimi city user),
Roma non dovrebbe teoricamente fermare per un po’ tutto
e realizzare soltanto gli altri rami della metro, la Metropolitana?
O qualcosa di adeguato, che ne sia surrogato?
Ma, allora, quali soggetti e meccanismi supportano, nella città
occidentale contemporanea che nessuno più disprezza radicamente,
azioni di rivalorizzazione adeguate, se non ben temperati progetti
speciali di infrastrutturazione e di nuova edificazione, aree
o zone di incentivazione tra tante di immobilizzazione?
Ma lasciamo perdere, oggi quello che mi interessa è presentare
la Sopraelevata, e le sue aree contermini compreso lo Scalo San
Lorenzo, come un luogo di conflitto simbolico, se non da risolvere
da rappresentare. Magari giocosamente. La nuvola di Diller&Scofidio,
una sfilata di donne tutte uguali e ignude della Beecroft, ancora
il vecchio Christo, qualche transurbanismo alla Stalker (la Zona…),
o che cos’altro?
Quel giorno di paradossale protesta pedonalizzata sul nastro sospeso
della Sopraelevata ci mostrò, con una acutezza che non
avevo colto percorrendolo incapsulato in un veicolo, una spazialità
sbieca ed inquietante, stai in uno spazio abissale verticalmente
e orizzontalmente, dove le geometrie edificate per la velocità,
curvilineità a raggi continuamente variabili simultaneamente
in pianta e in sezione, si confrontavano senza equilibri pacificati
con le geometrie più statiche degli edifici intorno e con
le curvilineità pettinate dei binari di sotto, una cosa
tremendamente eccitante che hai soltanto lì a Roma, mentre
ti prendono vertigini panoramiche altrove inattingibili, il fascino
di politezza degli snodi nelle fotografie moderniste del Giedion
però intrecciato con il casuale e lo sporco dei manufatti
collegati a valli e scali ferroviari.
Il quartiere di san Lorenzo, con i suoi buchi bombardati e mai
risanati, possiede spazi di riconnessione oltrechè di ricucitura
semplice, e puoi immaginarti perfino filamenti venosi che lo ricolleghino
al pittoresco e straniato Pigneto sottopassando il sovrappasso
mostruoso.
Ho cominciato a partecipare all’appello di Casavola, che
allego. Come è difficile capirsi, però, in un intrico
di retoriche che non si incontrano su nessun piano dialogico,
eppure malgrado tutto è bene continuare. Progetti tentativi
forse servono per fornire al dibattito l’imbastitura di
idee di spazi, di figure e misure, di materie. Senza la quale
ogni motivazione si confonde con ogni altra, ed ogni accusa è
possibile.
Personalmente, cara Mara la Dolce, abito in periferia, a Monteverde-ma-perfino-nuovo;
davanti alla cooperativa astrea di luigi moretti…non escludo
per altri l’accusa di snobismo ma è inesistene per
me, e comunque irrilevante, potrebbe essere rovesciata in una
accusa di demagogismo circa un abitante locale esistente e resistente
che non c’è.
Rilevanti sono i rapporti tra intenzioni e motivazioni, anche
in relazione alle alternative reali o prossime che si presentano,
ed alle loro funzioni ideologiche.
Sopraelevata è per me semplicemente –anche se non
escludo qualche affetto generazionale- uno dei pochi esempi a
Roma di una viabilità veloce tipo freeway (che forse significa
gratuita ma sembra anche strada libera dal reticolo edilizio di
base…) esistenti a Roma all’interno del grande raccordo
anulare (dove la gente cha abita abusivamente sopra la fascia
di rispetto ora lamenta i lavori di ampliamento). Essa costruisce
paesaggi e spazialità inedite e arricchenti….Non
si deve confondere questo con l’attuale crisi del moderno
inquinante e ingorgato…Non si deve nascondere che l’alternativa
oggi proposta è quella di ricucire viali e piazze che sono
sia irrealistici sia irreali…boulevard senza carrozze.
L’anatema postmoderno dovrebbe smettere di agire finalmente,
dopo venticinque anni di ipocrite maschere multistoricistiche
che non risolvono i problemi ma li scansano, imbellettano e decorano
paesaggi per pensionati benestanti da New Urbanism, in una farmaceutica
presentificazione della storia. Sarebbe ora di riprendere il filo
rosso dal Moderno al Contemporaneo che fu resecato opportunisticamente
dal postmoderno non ironico, e che aveva negli anni Settanta i
Five e i Site, i Venturi e i Gerhy, e poi gli OMA, eccetera.
Vorrei dunque soprattutto proporre alcune questioni concettuali,
una volta avremmo detto di fondo, che i progetti potrebbero verificare.
Anzitutto, due ipotesi limite contrapposte (ma è giusta
la contrapposizione!?), la cui conflittualità comunque
potrebbe costituire il materiale poetico degli interventi artistici:
E’ giusto-opportuno pensare Roma futura come una città
radiocentrica che non solo conserva ma addirittura ripristina
nella inner city (centro storico città storica città
consolidata) caratteri dello spazio urbano protomoderno, esportando-espellendo
nel periurbano le figure delle infrastrutture tecnologicamente
moderne e post-moderne?
E’ giusto-opportuno pensare la riprogettazione di grandi
plaghe in riuso post-moderno finalizzata alla costituzione di
luoghi eccellenti dove incentivare l’innovazione e la contemporaneità,
facendone luoghi di scommessa per il ruolo di Roma nella competizione
planetaria delle città?
Il mostruoso, devi riconoscerti in esso e confrontartici, non
devi defilarti o defilarlo uccidendolo. Nella continuità-discontinuità
fra Modernismo e Metropolismo Contemporaneo. O no?
Antonino Terranova
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